Psicologia

Diabete tipo 2 e Obesità: la prevenzione sta nella Psicologia!

Stile di vita sano e controllo del peso sono fondamentali nella prevenzione del Diabete.

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Gabriella De Simone

Psicologa e Psicoterapeuta

Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale. Da diversi anni si occupa di difficoltà legate al corpo e all'alimentazione. Inoltre, ha maturato diversi anni di lavoro nell'area LGBTQ+ e, in più generale, nello sviluppo dell'identità sessualità. Esperienza sviluppata per tanti anni presso l'Università Federico II di Napoli attraverso l'attività clinica e la ricerca scientifica. Da molti anni si dedica al lavoro clinico, vis a vis e online, con individui, coppie e famiglie.

Il medico che utilizzò per primo il termine “diabete” fu, probabilmente, il greco Areteo di Cappadocia nel 150 d.C.. Sono passati tantissimi anni ma il diabete resta una delle patologie più frequenti nella nostra società.

Va fatta una differenza importante tra il diabete tipo 1, caratterizzato da una resistenza all’azione dell’insulina, e il tipo 2, dove l’insulina c’è, ma purtroppo, non riesce più a esercitare la propria funzione. 

In questo articolo il focus sarà sul diabete tipo 2, in quanto è fortemente legato agli stili di vita scorretti e, in particolare, alla presenza di un Disturbi dell’Alimentazione molto diffuso, l’Obesità

La World Health Organization la definisce come una condizione di “anormale o eccessivo accumulo di adipe che potrebbe danneggiare la salute”, cioè una condizione multifattoriale, caratterizzata da eccesso di grasso corporeo che supera del 20% il suo peso ideale per l’altezza. 

La sua prevalenza è in aumento in tutti i paesi occidentali e nei paesi in via di sviluppo, tanto che l’OMS la definisce come una nuova epidemia. Il sistema monitoraggio “Okkio alla Salute”, del centro nazionale di prevenzione e del controllo delle malattie del Ministero della Salute, ha riportato che il 23% dei bambini dell’età compresa tra gli 8-9 anni è in sovrappeso mentre l’11% in condizioni di obesità. In poche parole, un bambino su tre ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età.

Partendo dal presupposto che la chiave per prevenire il più possibile la comparsa del Diabete 2, o per ritardare le complicanze del diabete 1, sta negli stili di vita, in particolare nel contrasto all’obesità, proviamo a comprendere cosa è possibile fare.

Può sembrare facile dire “fai la dieta”, “fai attività fisica” ecc., ma non è sempre facile mettere in pratica ciò! Cosa rende difficile l’attuazione?

In una persona obesa ciò che spinge a mangiare non è la fame di cibo! Trovare, quindi, diete alternative e soddisfare desideri alimentari, non rappresenta la soluzione!

Il rapporto con il cibo assume un insieme ampio ed estremamente denso di significati simbolici.

Pertanto, focalizzarsi solo sul sintomo dell’obesità è in genere fonte di delusioni. La restrizione calorica, certamente utile e indispensabile, deve essere accompagnata da una valutazione psicologica dell’obesità. È opportuno soffermarsi sul significato di “disagio relazionale” sottostante il sintomo, per comprendere cosa significa.

Nei soggetti obesi si riscontra l’incapacità di distinguere la sensazione della fame e della sazietà da altri stati di malessere, che nulla hanno a che vedere con la privazione di cibo. Vi è una grande difficoltà a distinguere la sensazione di fame e sazietà da stati di tensione emotiva suscitati dai più svariati conflitti e problemi. L’alimentazione diventa la pseudosoluzione a conflitti più svariati.

Il comportamento iperfagico di un obeso potrebbe nascere dalla tensione generata nei confronti dei contatti sociali, e più spesso da un sentimento di vuoto interno, di noia, e dalla sensazione di non aver controllo sulla propria vita. Il cibo rappresenterebbe una gratificazione e servirebbe a colmare sensazioni di vuoto interiore. I sentimenti vengono soffocati dal cibo e il sistema può mantenere il falso equilibrio in cui si trova.

Alla base dell’obesità possiamo rintracciare anche una forma di richiesta di riconoscimento, data dalla realizzazione delle pratiche alimentari (fare la spesa, cucinare, pensare a cosa piace, etc.)

Un rapporto complesso con il cibo, caratteristico dell’obeso, potrebbe esprimere un desiderio insaziabile d’amore, che magari non è stato percepito in infanzia. O ancora, il sintomo obesità potrebbe essere un’espressione di rabbia, un modo per colpire sé stesso o le persone care. 

Infine, nell’obesità il “piacere” del cibo potrebbe sostituire il piacere sessuale

Possiamo quindi dire che, alla base dell’obesità vi è un’anomalia nel modo di percepire la fame, anomalia dovuta, a sua volta, a un errato apprendimento percettivo: il bambino fraintendeva le sue sensazioni e imparava ad abusare del cibo per sedare tensioni emotive e sopportare difficoltà di relazione con l’altro. 

Siamo di fronte all’assimilazione di un modello relazionale precoce disfunzionale, basato sul continuo ricorso materno al cibo come strumento di “consolazione universale”, proposto di fronte a qualsiasi manifestazione di tensione, malessere o bisogno del figlio. Ciò impedisce lo sviluppo, in tali soggetti, della capacità di riconoscere, differenziare e soddisfare adeguatamente i propri bisogni, motivo per cui tenderanno a rispondere, a loro volta, a qualsiasi emozione con l’assunzione di cibo.

Alla luce di tutto ciò, possiamo così chiarire che l’antico rimprovero mosso agli obesi, per la loro poca forza di volontà, è errato. Ci troviamo di fronte a delle difficoltà, a dei sentimenti di malessere e ad un’incapacità di distinguere le sensazioni corporee. 

Cosa fare? Se è vero che il sintomo dell’obesità è su segnale di malessere o difficoltà, fermiamoci, proviamo a comprendere di cosa a bisogno l’altro o di cosa abbiamo bisogno noi stessi! Se ciò non è possibile farlo da soli, non c’è da spaventarsi, contattiamo uno specialista: uno psicoterapeuta ti aiuterà a trovare la strada più sana e positiva per te!

“La dottoressa racconta: La storia di Stefano”

Stefano è un uomo di 38 anni che arriva al mio studio poiché non si piace, non riesce a relazionarsi alle persone e sente di esser fermo nella sua vita. Emerge che è obeso fin dalla preadolescenza, non ha mai avuto relazioni sentimentali e teme il confronto con gli altri, anche nelle amicizie. Nel lavoro fatto insieme, Stefano ha compreso quanto i genitori fossero presenti economicamente, ma poco emotivamente. Non ricorda abbracci, né parole di conforto né complimenti. Da ragazzo, quando tornava a casa triste o silenzioso la madre si arrabbiava con lui e l’unica cosa che riusciva a fare era offrire il suo cibo preferito. Durante il percorso, inoltre, abbiamo imparato insieme a riconoscere e gestire le emozioni, così da non usare sempre il cibo come consolazione. Ha iniziato a lavorare, instaurato diversi legami di amicizia ed è riuscito a perdere alcuni kg. Il lavoro prosegue proprio sul peso, sulla cura di sé e sul valore che Stefano dà a sé stesso.