L'Intervista

Gianluca Guida: imparare ad ascoltare i giovani

Progetti a lungo termine e cooperazione tra istituzioni

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La cronaca ci racconta una realtà giovanile difficile e bisognosa di cura e attenzione da parte del mondo adulto e delle Istituzioni; ne abbiamo discusso con il Direttore dell’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida Gianluca Guida, che nel suo ruolo ha maturato esperienza e conosce bene i giovani e le loro dinamiche.

Dottor Guida quali sono i disagi maggiori che incontrano i giovani? E per quali motivi i ragazzi varcano l’IPM?

Il disagio giovanile cambia repentinamente anche in base ai tempi, non è sempre uguale in quanto si collega alle condizioni ambientali, familiari, sociali e ai momenti storici ad essi collegati. Oggi sicuramente c’è una difficoltà dei ragazzi a sviluppare empatia con l’altro e questo li porta ad adottare atteggiamenti prevaricatori e violenti, in forma disinibita anche spesso per il poliabuso di sostanze stupefacenti, cosiddette leggere, a cui talvolta si aggiunge anche l’abuso di psicofarmaci per compensare il forte disagio e tipologie di malessere non diagnosticate. La mancanza di relazione empatica con l’altro è spesso correlata ad una mancanza di riconoscimento di loro stessi. Spesso i ragazzi che vivono una situazione di devianza e criminalità sono giovani che non si sono visti riconosciute capacità, competenze, ruoli e che non sono stati curati nel loro processo di crescita per cui non si conoscono e quando si sperimentano lo fanno in maniera impulsiva e imprevedibile.

Ai giovani manca più l’ascolto o progetti che possano coinvolgerli?

L’ascolto è essenziale in qualunque ambito, è uno strumento di relazione.

Il mondo adulto, invece, oggi è molto disattento alla voce dei ragazzi perchè siamo tutti presi dall’ansia della performance, del raggiungimento di un’affermazione individuale e di conseguenza i più fragili sono lasciati ai margini e compensare questa disattenzione risulta difficile.

Questa situazione di disattenzione e scarsa educazione porta i giovani all’affannosa ricerca di situazioni per essere visibili e di relazioni affettive che possano dare felicità in senso puro e pieno.

Soprattutto al sud è elevato il numero di dispersione scolastica e spesso arrivano in carcere giovani che poi riescono proprio in istituto a prendere una qualifica, cosa possono fare politica e istituzioni?

La dispersione scolastica è un sintomo del disagio che potrebbe permettere di intervenire tempestivamente anche in termini di prevenzione. La strategia educativa deve svolgersi su un periodo decennale, ventennale solo così possono cogliersi le necessità e si può lavorare bene. I progetti che nascono e si esauriscono in un lasso di tempo breve, anche se bellissimi, non possono avere una ricaduta sul lungo periodo.

A tal riguardo ricordo che in Campania circa un anno fa Istituzioni, Chiesa e terzo settore hanno siglato un “patto educativo” ad oggi a che punto sono i lavori?

Il patto educativo è un tentativo impegnativo per smuovere le coscienze e le responsabilità sull’educazione e le opportunità di dialogo con i giovani. Personalmente con la Curia e le associazioni di volontariato abbiamo iniziato a lavorare incessantemente per dare risposte concrete e ad oggi sono partiti tre tavoli significativi a Pianura-Soccavo, Ponticelli e Forcella. È un percorso lungo e difficile volto ad elaborare strategie comuni, individuando i bisogni e le risorse. Stiamo lavorando bene insieme mettendo in rete scuola, polizia, servizi sociali e le associazioni territoriali. Ora l’obiettivo è costituire degli organi che diano rappresentatività a queste risorse territoriali così da fornire le risposte concrete alle tante richieste. L’ambizione nel lungo termine è quella di non avere più necessità degli istituti penali minorili.

Fiction e film del genere “Mare fuori” possono aiutare alla riflessione dei giovani o rappresentano un esempio negativo?

“Mare fuori”, innanzitutto, (mi sono documentato) non è una fiction che vuole raccontare fenomeni storici della nostra città, o riprendere episodi di cronaca, bensì è un teen drama che vuole raccontare vicende che narrano le idee degli adolescenti, le loro paure, il loro mondo, storie di violenze subite, che purtroppo esistono, in uno sfondo rappresentato dal carcere minorile. Un po’ come accade in una serie che amo “Skam Italia” che affronta tematiche sociali tipiche dell’adolescenza nell’ambito di una scuola. Si contesta a questa serie che non trasmette la paura del carcere, ma personalmente non ho mai creduto nella funzione deterrente della paura della privazione della libertà e aggiungo non è questo il compito del carcere che, invece, deve con la pena far crescere e promuovere un comportamento nuovo in grado di far recuperare e riconoscere i propri bisogni.