Psicologia

Un respiro per i genitori: come affrontare la bronchiolite

Elementi psicologici legati alla salute dei propri figli.

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Gabriella De Simone

Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale

Da diversi anni si occupa di difficoltà legate al corpo e all'alimentazione. Inoltre, ha maturato diversi anni di lavoro nell'area LGBTQ+ e, in più generale, nello sviluppo dell'identità sessualità. Esperienza sviluppata per tanti anni presso l'Università Federico II di Napoli attraverso l'attività clinica e la ricerca scientifica. Da molti anni si dedica al lavoro clinico, vis a vis e online, con individui, coppie e famiglie.

Essere genitori è il mestiere più difficile al mondo! È proprio vero, non ci sono delle istruzioni, delle regole o dei training. Ogni figlio ha le sue caratteristiche e il suo carattere, ogni relazione nasce e cresce in un momento preciso. Ma questo è anche il bello di essere mamma e papà! Una delle preoccupazioni maggiori è la salute dei nostri bimbi! 

In un periodo come quello che viviamo da due anni, di pandemia e terrore, un colpo di tosse rappresenta un allarme enorme.

Cosa succede se questa tosse si trasforma in un problema più grande? Cosa accade in un genitore di fronte alla bronchiolite di un figlio?

Sono numerose le paure forti e incontrollabili che un genitore vive, l’importante è riuscire a tenerle sotto controllo e a trasformarle in uno stimolo. Non c’è una cosa da fare giusta o sbagliata, ciò che è importante è che le paure non prendano il sopravvento sulla lucidità, in quanto ciò potrebbe influenzare anche lo sviluppo psico-affettivo del bambino.

Dal semplice raffreddore, all’influenza, dalla bronchiolite all’asma, uno dei rischi è l’iperprotettività dei genitori. Un genitore troppo presente e protettivo inficia il percorso di autonomia del bambino

Le conseguenze potrebbero manifestarsi in un legame fusionale con il caregiver o anche in un’insicurezza nelle relazioni adulte. Permettere al bimbo di sbagliare, di correre piccoli “rischi”, di vivere la frustrazione legata all’assenza (breve e temporanea) del genitore, è fondamentale!

Un ulteriore rischio che si riscontra in caso di problematiche fisiche, più o meno gravi, più o meno croniche, è il cambio di abitudini. I genitori, ad esempio, per paura che possa ammalarsi o aggravarsi, azzerano i contatti sociali, tendono a stare a casa e ad esporre meno il bimbo al contesto esterno. Si arriva anche a non fare più il bagnetto al figlio per paura che prenda freddo.

Le accortezze e la prevenzione sono essenziali di certo, ma l’importante è l’equilibrio! Fare una passeggiata all’aperto, incontrare degli amici al parco, riscaldare la casa e non uscire dopo averlo lavato, e così via. In seguito ad un evento di salute doloroso realmente accaduto, che sia una nascita prematura, una malattia, un intervento o un’ospedalizzazione, nei genitori si può creare una percezione di vulnerabilità nei confronti del figlio. 

Può risultare problematico quando questa percezione sussiste nonostante il bambino abbia superato la situazione di malattia o di pericolo poiché sfocia in una dinamica relazionale basata sulla fragilità. Il genitore attribuisce al bambino un’immagine di sé vulnerabile e il bambino, a sua volta, finisce per adeguarsi a quell’immagine. 

Crescendo, il suo comportamento può incanalarsi in due strade opposte: definirsi “malato” e quindi incarnare questa fragilità, oppure “ribellarsi” a questa percezione mettendo in atto comportamenti disfunzionali. Questa percezione di vulnerabilità è estremamente comprensibile, ogni genitore sente la responsabilità nei confronti della vita del figlio. 

Importante è provare a comprendere come questa percezione sia una strategia per silenziare le emozioni, per avere delle “regole” su cosa fare e cosa no, un modo per dare significato agli eventi dolorosi accaduti. Parlare delle paure e delle fantasie legate alla salute può essere di grande aiuto. 

Non esiste, quindi, una ricetta perfetta per affrontare una situazione di malattia dei propri figli. Ma, sicuramente, comprendere perché agiamo in un modo o in un altro e intravedere le conseguenze che derivano dalle nostre azioni, sono bussole e cartine nel viaggio da genitore!

“La dottoressa racconta: La storia di Stefania”

Stefania è una giovane mamma di 27 anni che mi contatta perché sta attraversando un momento doloroso e difficile della sua vita. Ha una bambina di un anno, è casalinga e vive lontana dalla propria famiglia d’origine. 

Mi scrive poiché si sente in colpa di non essere una buona mamma, si sente sempre nervosa e non riesce mai a prendere una decisione serenamente. Dalla storia che racconta, emerge che la piccola Sofia, quando aveva tre mesi, fu ricoverata per una brutta bronchiolite. 

Ha trascorso lì circa due settimane nelle quali il contatto tra loro è stato drasticamente ridotto, da quel momento non ha più allattato. Rientrati a casa Stefania viveva nel terrore, specialmente di notte: rimaneva sveglia per controllare come respirava Sofia. 

Stefania, prima della nascita della bimba, era impiegata in un ufficio, ma non è mai più rientrata, ha chiesto il licenziamento. Anche la vita sociale era ridotta: gli incontri con gli amici erano quasi inesistenti, andare al parco, dove Sofia poteva incontrare altri bambini, era una cosa impossibile; se Sofia era leggermente raffreddata, evitava il bagnetto anche per dieci giorni.

Il lavoro è stato quello di esplorare le paure di Stefania, lavorare sulle emozioni ad esse connesse. Imparare a riconoscerle e gestirle. Inoltre, abbiamo fatto emergere il suo sentirsi responsabile della vita di un’altra persona, approfondendo il legame di dipendenza che si crea in una coppia mamma-figlio. 

Importante è stato anche ritornare al rapporto che Stefania aveva con la mamma, che figlia è stata e che mamma ha sempre sognato di essere. I miti familiari, le esperienze del passato e le aspettative verso il futuro, condizionano profondamente il comportamento e i sentimenti della donna.

Un ulteriore lavoro svolto è stato quello di mettere di nuovo in luce Stefania donna e non solo Stefania mamma.