Psicologia

Colite: quando la comunicazione tra intestino e cervello non è ottimale

Una lettura psicologica della sindrome del colon irritabile

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La colite può essere definita un’infiammazione della mucosa intestinale che determina uno squilibro della flora batterica. Parliamo, però, di un disturbo non del tutto somatico, ma innescato o accentuato da fattori psicologici, un vero e proprio Disturbo Psicosomatico. Detto ciò, chi soffre di questa sindrome dovrebbe innanzitutto sottoporsi a una visita gastroenterologica specialistica per escludere l’eventuale presenza di un altro disturbo gastrointestinale organico.

Nella maggior parte dei casi di colon irritabile, è evidenza che le persone che ne soffrono presentano labilità emotiva, elevati livelli di ansia e stress, sensi di colpa, rabbia, molta competitività e difficoltà a fronteggiare e padroneggiare le situazioni complesse della vita.

In un intervento che mira alla cura di un disturbo psicosomatico è indispensabile il superamento dell’antinomia mente e corpo, è essenziale connettere queste parti e sincronizzare i significati. Un importante psichiatra, Yung, ha utilizzato queste parole “Il coordinamento dei processi fisici e psichici dell’essere umano andrebbe inteso come un fenomeno sincronistico anziché solo come una relazione casuale”.

La sindrome del colon irritabile è, quindi, un segnale che non stiamo vivendo bene, che c’è qualcosa che non va. È proprio nella pancia che nascono le emozioni più viscerali, è li che decidiamo se viverle o no.

Come descritto anche attraverso la Teoria dei due cervelli, esiste un asse di comunicazione che lega pancia e testa capace di scambiare messaggi ed informazioni che rimangono per lo più a livello inconscio. In situazione di allarme, l’organismo è in grado di percepire questi messaggi poiché si trasformano in sensazioni di malessere.

Uno dei sintomi più frequenti del colon irritabile è dato da evacuazioni frequenti e/o rare. Questa problematicità rispecchia un funzionamento mentale basato sull’alternanza tra apertura e chiusura, tra dare e trattenere, esprimere e aspettare, agire o non agire, soddisfare i propri bisogni e negarli, arrabbiarsi e nascondere la rabbia. Tutto ciò è possibile ricondurlo o ad un problema di autostima, quindi ad una forte indecisione, o allo stesso tempo ad un estremo perfezionismo che sfocia in autocriticità.

È possibile, quindi, individuare le maggiori cause psicologiche della sindrome del colon irritabile in cinque macroaree.

  • Aspettative personali. Capita che le persone non si sentino all’altezza, che non riescono a far conciliare i propri desideri e ambizioni con quello che effettivamente riescono a fare. Sentono che la loro vita non è all’altezza di ciò che desideravano, sentendosi così frustrati, frustrazione che crea conflitti interni e alti livelli di stress.
  • Ipercriticità. Le persone con alti livelli di critica verso sé stessi tendono a non apprezzarsi, a concentrarsi su quello che pensano e dicono gli altri, senza riuscire a rafforzare la propria stima di sé.
  • Competenze comunicative. Le persone non sempre sono in grado di dire all’altro cosa pensano e provano; spesso si “tiene dentro” quello che si prova per non creare problemi e per non essere pesanti.
  • Sensi di colpa. Può capitare di attribuirsi delle colpe anche quando le responsabilità non sono le proprie.

Alla base del colon irritabile possiamo riscontrare diverse cause psicologiche, ma, allo stesso tempo, i fastidiosi sintomi somatici implicano alti livelli di ansia, abbassamento dell’umore e isolamento, che alimentano il circolo vizioso della sindrome stessa.

È possibile, quindi, ipotizzare che la cura del colon irritabile debba passare inevitabilmente anche attraverso un percorso di psicoterapia. Percorso che, in primis, aiuta ad affrontare i disagi causati dai sintomi somatici ma, ancor di più, permette di modificare parti strutturali della persona. Un percorso di psicoterapia consente di migliorare la propria autostima, di apprendere strategie di gestione dello stress, di comprendere i propri bisogni e di ridurre sensi di colpa e sentimenti negativi.

La storia di Ginevra

Ginevra è una donna di 49 anni, di bell’aspetto, curata e attenta all’abbigliamento. Sposata e con una figlia. Arriva da me poiché si sente demoralizzata e spenta. Attribuisce tutto ciò a dei problemi intestinali, che le portano gonfiori, dolori e stipsi. Non si sente adeguata e all’altezza della sua vita. Lavora da sempre in una ditta di pulizie, dove le viene rinnovato il contratto periodicamente, creandole tensione e stress. Spesso i colleghi cambiano e lei non si sente riconosciuta nella sua posizione di anzianità.

Il padre fin da quando era piccola faceva uso di alcol e tradiva la madre. Questo rapporto è terminato quando Ginevra aveva 9 anni. La mamma ha intrapreso una nuova relazione, dalla quale è nata una bambina. Ginevra racconta di essersi sentita trasparente, nonostante fosse una bimba molto brava, poi una studentessa modello e poi una lavoratrice responsabile e precisa. La sorella ha intrapreso una carriera universitaria, diventando medico.

Da tutti i racconti emerge una donna estremamente concreta, volta all’operatività e al raggiungimento degli obiettivi. Non vi era alcuno spazio per le emozioni. Importantissimo era il giudizio degli altri, partendo dalla madre, passando per i colleghi e arrivando al marito.

La terapia ha avuto l’obiettivo di lavorare sulla sua autostima, riconoscendosi dei valori e delle competenze. Inoltre, è stato indispensabile il lavoro sulle emozioni, lavoro attraverso il quale ha imparato ad esprimere e a gestirle le emozioni, senza farle emergere direttamente dal corpo.