Psicologia

La Tachicardia e i suoi aspetti psicologici

Fare diagnosi di attacco di panico.

condividi

Dott.ssa Gabriella De Simone

Psicologa e Psicoterapeuta

Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale. Da diversi anni si occupa di difficoltà legate al corpo e all'alimentazione. Inoltre, ha maturato diversi anni di lavoro nell'area LGBTQ+ e, in più generale, nello sviluppo dell'identità sessualità. Esperienza sviluppata per tanti anni presso l'Università Federico II di Napoli attraverso l'attività clinica e la ricerca scientifica. Da molti anni si dedica al lavoro clinico, vis a vis e online, con individui, coppie e famiglie.

“Muoio di crepacuore”, “Sento una morsa al cuore”, “Ho il cuore in gola”.


È possibile elencare numerose espressioni popolari utilizzate comunemente quando si è in preda ad una forte emozione. Ciò è la prova dello stretto rapporto tra cuore ed emozioni e tra mente e cuore. Tale legame è possibile riscontrarlo in numerosi stati d’ansia, come nell’attacco di panico: la frequenza e il ritmo del battito cardiaco sono modificati.

La parola ansia (dal latino angere ossia “stringere”) è spesso associata all’idea di strettezza e costrizione, così come la sua locazione nel corpo, cioè una sensazione di pressione nel petto. L’ansia è uno stato caratterizzato da sentimenti di paura e di preoccupazione e la sua forma più acuta è rappresentata dall’attacco di panico. Un episodio breve ed intenso di paura acuta, che comporta intensi sintomi somatici accompagnati da vissuti psicologici di terrore, catastrofe imminente e impulso a scappare. L’attacco inizia improvvisamente e raggiunge il suo apice molto velocemente, circa dieci minuti. Si viene a creare un vero e proprio circolo vizioso tra i sintomi fisici e mentali.

Negli attacchi di panico, infatti, i sintomi possono essere molto diversi e sono sia psichici e cognitivi che organici. In questa seconda categoria rientrano sintomi che si riferiscono:

  • al sistema cardiovascolare (tachicardia, aritmie nel battito cardiaco, sensazione di svenimento);
  • al sistema gastrointestinale (dolori al fegato e altri disturbi intestinali);
  • al sistema nervoso (cefalea, vertigine, stordimento, addormentamento degli arti);
  • al sistema respiratorio (senso di soffocamento, sensazione di fame d’aria, difficoltà di respirazione).

Per effettuare diagnosi di attacco di panico è essenziale la persistenza, per più di un mese, di preoccupazione o rimuginio di avere un altro attacco di panico in futuro o delle conseguenze che un attacco di panico potrebbe avere (es.: perdere il controllo, avere un infarto, diventare pazzo, ecc).

Allo stesso tempo, si deve manifestare anche un cambiamento significativo nel comportamento (es.: il soggetto comincia a evitare l’esercizio fisico, le situazioni temute o percepite come pericolose o minacciose).

Inoltre, è necessaria la presenza di almeno quattro tra alcuni sintomi (come anche quelli sopracitati).
Il sintomo somatico che viene più frequentemente riportato e maggiormente vissuto con angoscia è la tachicardia. Un’accelerazione importante del battito cardiaco che terrorizza il soggetto, che può arrivare anche a pensare di avere un infarto. Il cuore è un organo fondamentale, che agisce come una pompa meccanica che, attraverso continue contrazioni (sistole) e rilasciamenti (diastole) scandisce il ritmo esistenziale di ciascuna persona.

Questo ritmo non è solo un ritmo meccanico/fisico ma è anche il ritmo emotivo. Per tale motivo, è possibile riscontrare dei malesseri, che si esprimono attraverso sintomi cardiologici, ma di natura psicologica.

Da numerose ricerche, è emerso che la somatizzazione a livello cardiaco, o anche nevrosi cardiaca, risulta essere associata ad uno specifico quadro di personalità. Da un’indagine condotta su oltre tremila soggetti (Friedman e Rosenman, 1959) sono emerse due tipologie di personalità: personalità di tipo A, cioè competitivo e tipo B, cioè cooperante. La prima è descritta come una persona dinamica, mai ferma, incapace di rilassarsi, desiderosa di dominare sugli altri, con alta competitività, smaniosa di successo a tutti i costi, con meccanismi di difesa psicologica come la negazione (della malattia, dell’insuccesso, delle frustrazioni, ecc). Dalle ricerche emerge che questo tipo di personalità competitiva è colpita da infarto 4 volte di più di quella di tipo B. L’idea alla base è che sono persone che tendono a trascurare i segnali emotivi e le percezioni somatiche; la competitività porta a dormire poco, alimentarsi in modo non appropriato, correre rischi e sottoporsi a stress. Inoltre, spesso sono caratterizzati da relazioni affettive precarie e da una repressione dei propri bisogni per adeguarsi al contesto o al lavoro.

Nel parlare di nevrosi cardiaca, non ci limitiamo solo ad aspetti personali e comportamentali, tra i fattori di rischio c’è lo stress-psicosociale che può derivare da lutto, abbandono, divorzio, separazione da familiari, violenti discussioni, perdita del lavoro, trasloco, debiti, problemi scolastici, emarginazione, fallimento lavorativo, insuccesso, ecc.
Un fattore di rischio centrale è rappresentato dalla capacità di elaborare psicologicamente le emozioni, anche derivanti dalle esperienze sopracitate, quali ansia, rabbia, dolore, tristezza, colpa, vergogna. Se questa capacità è ridotta le emozioni rimarranno nelle sedi corporee dove originano, verranno somatizzate ed emergeranno attraverso un sintomo fisico.

Ciò spiega anche le diverse risposte che nei soggetti si hanno nonostante esistono delle precondizioni note uguali, come fattori ereditari, colesterolo alto, sovrappeso, fumo di sigarette, ecc. La tachicardia, così come le palpitazioni, l’aritmia ed altre problematiche cardiache possono, quindi, rappresentare la difficoltà a gestire ed esprimere stati emotivi, ad elaborare esperienze traumatiche, ad essere felici nella società moderna.

Un aspetto specifico della persona che somatizza a livello cardiaco è l’ipercontrollo dei sentimenti. Vi è un forte squilibrio e contrasto tra testa e cuore, ed il soggetto pensa di poter controllare i sentimenti. L’iperteso, per esempio, tendenzialmente reprime molto, ma allo stesso tempo è un soggetto che ha molto, in termini di spinta energetica da investire nella vita, troppo probabilmente rispetto alla sua disponibilità a mettersi in gioco.

Questi soggetti privilegiano l’aspetto intellettivo e cognitivo, dando maggiore attenzione alla testa piuttosto che al cuore. L’aspetto emotivo è secondario e ciò innesca uno squilibrio che può manifestarsi attraverso disfunzioni cardiache. Il cuore si ammala a causa di una profonda sofferenza nel mondo degli affetti e di una rinuncia a vivere pienamente il proprio mondo pulsionale.

“La dottoressa racconta: La storia di Barbara”

Barbara, una donna di 54 anni, giunge nel mio studio in seguito a numerosi accertamenti medici, tutti negativi. La donna è in preda a forti ansie e attacchi di panico. Il primo episodio, racconta di averlo avuto numerosi anni prima, mentre sono riemersi circa un anno prima del nostro incontro. La donna è esausta e spaventata, non riesce più a vivere la sua quotidianità come prima: non va più in palestra, non vede le amiche, litiga spesso con il marito e si immerge completamente nel lavoro. Il lavoro, di circa un anno, aveva come obiettivi: recuperare la sfera emotiva, compresa la paura per il futuro del figlio e la rabbia verso il marito; riacquistare una propria vita, fatta di hobby e interessi, rafforzando la propria stima in sé. Ciò ha comportato anche miglioramenti nella sfera lavorativa, in cui si sentiva sempre alla prova, in competizione e a rischio. Quando la terapia finisce, Barbara non ha attacchi di panico da più di 6 mesi.