Psicologia

Il paziente oncologico e la sua famiglia

L’utilizzo della psicoterapia familiare

condividi

Dott.ssa Gabriella De Simone

Psicologa e Psicoterapeuta

Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale. Da diversi anni si occupa di difficoltà legate al corpo e all'alimentazione. Inoltre, ha maturato diversi anni di lavoro nell'area LGBTQ+ e, in più generale, nello sviluppo dell'identità sessualità. Esperienza sviluppata per tanti anni presso l'Università Federico II di Napoli attraverso l'attività clinica e la ricerca scientifica. Da molti anni si dedica al lavoro clinico, vis a vis e online, con individui, coppie e famiglie.

La malattia oncologica è un’esperienza dolorosa e sconvolgente non solo per il soggetto colpito, ma per l’intera famiglia che lo circonda. Quando un paziente riceve la diagnosi di cancro, tutta la famiglia (o la coppia) riceve tale diagnosi, diventando così elemento centrale delle narrazioni e dei significati condivisi. È un ospite sgradito, non invitato e che occupa in maniera invadente lo spazio familiare, imponendo cambiamenti radicali nei rapporti, nelle abitudini e nel futuro “insieme”.

Inoltre, spesso si può assistere a quella che viene definita la sindrome del caregiver, un esaurimento emotivo, fisico e mentale poiché i propri bisogni vengono trascurati per assistere la persona malata. Ciò può portare diversi sintomi, come: cattiva gestione dello stress, stanchezza e spossatezza frequenti, costanti preoccupazioni per la cura e la malattia del familiare, irritabilità, perdita di interesse per le attività e progressivo ritiro dagli ambienti sociali. Diventa, quindi, molto importante la consapevolezza che prendersi cura dell’altro significa non trascurare i propri bisogni.

Per tali ragioni, diviene fondamentale che gli interventi psiconcologici siano in parte sempre interventi familiari. L’obiettivo è quello di aiutare l’intero nucleo familiare ad individuare, riconoscere e gestire il disagio, i comportamenti individuali e gli stili relazionali di ciascuno, poiché si influenzano reciprocamente attraverso una serie di feedback.

La psicoterapia familiare o di coppia, nel contesto dell’oncologia, quindi, mira a modificare i pattern relazionali e l’insight di malattia del gruppo familiare, con l’obiettivo di migliorare l’adattamento alla malattia e la gestione emotiva delle angosce di perdita connesse al cancro.

In tali famiglie spesso la struttura delle relazioni familiari viene negativamente influenzata dalla malattia, mostrando conflitti di ruolo, isolamento sociale, maggiori difficoltà di comunicazione, disorganizzazione o, al contrario, eccessivo invischiamento.

Una psicoterapia familiare o di coppia mira, quindi, all’ottimizzazione del funzionamento relazionale della famiglia attraverso l’implementazione di una comunicazione efficace, di una migliore coesione, di una maggiore flessibilità della struttura familiare, di una soluzione adattiva dei conflitti e di una grande adattabilità e capacità di riorganizzazione.

Ovviamente, le diverse fasi della malattia implicano anche competenze e risorse differenti.

In fase diagnostica, momento in cui si cercano maggiori informazioni sulla malattia e sul trattamento, le reazioni emotive sono forti: shock, perdita di controllo, smarrimento, paura, impotenza ecc. In questo caso, l’intervento psicologico contribuirà ad aiutare ad abbassare il livello di arousal emozionale, che essendo molto alto per tutti, può alterare la capacità di recepire e valutare l’emozione in modo adeguato.

Nella fase del trattamento, momento in cui i familiari sono esposti a molte più responsabilità e compiti, le emozioni principali sono legate alla paura di perdere la persona cara ma anche alla speranza. Ciò può causare comportamenti amplificati di iperprotezione o di evitamento; quindi, l’intervento mira all’accettazione ed elaborazione dell’esperienza.

Qualsiasi sia la fase della malattia, lavorare sull’aspetto emozionale è essenziale, in quanto i soggetti coinvolti oscilleranno tra sentimenti di paura, dati dal non sentirsi all’altezza di ciò che sta per accadere, a sentimenti di colpa causati dal pensiero di non essere stati o di non essere sufficientemente presenti, o per aver provato rabbia verso il soggetto malato o di aver desiderato che tutto finisse in tempi rapidi. L’oscillazione è caratterizzata anche da sentimenti di tristezza legati alla perdita della propria identità familiare (“non sarà più come prima”), sentimenti di vuoto, inutilità e di impotenza. Molto frequente è la rabbia, verso persone o situazioni (il mondo, Dio, il medico, i familiari assenti, gli amici che si ritraggono, il paziente stesso che ci sta per lasciare), nonché la messa in atto di meccanismi di minimizzazione o negazione (“forse c’è stato qualche errore negli esami”, “mi pare che le cose vadano meglio, forse non è grave come sembra”), con lo scopo inconsapevole di difendersi dall’angoscia e proteggersi da ciò che li spaventa.

Lavorare con l’intero nucleo familiare, in una prospettiva sistemica, soprattutto nelle prime fasi della malattia, assolve diverse funzioni:

  • funzione educazionale, aiutando a facilitare lo scambio di informazioni fra famiglia e medici, infermieri ecc;
  • funzione coesiva, permettendo il coinvolgimento di tutti nella gestione della malattia;
  • funzione espressiva, grazie alla condivisione degli affetti e delle emozioni di ognuno;
  • funzione introspettiva, grazie alla consapevolezza e alla riflessione sulle dinamiche psicologiche profonde.

Per una famiglia che vive tale esperienza, quindi, impegnarsi in una psicoterapia familiare potrebbe rappresentare uno strumento fondamentale grazie al quale è possibile rafforzare i legami tra i membri, potenziare le risorse affettive, migliorando così la comunicazione e la gestione della malattia.

La dottoressa racconta: la storia della famiglia Stradoni

Paola e Antonio mi contattano poiché Umberto, il loro secondogenito di 11 anni ha manifestato molti problemi a scuola, nei voti e nelle presenze. Non appena li conosco, in un incontro di coppia, emerge un elemento sostanziale, lui da poche settimane ha avuto diagnosi di tumore alla tiroide. Questa notizia è stata comunicata in modo vago e filtrato ai figli, specialmente ad Umberto. La prima, Stefania, sedicenne, è più informata. La coppia esprime immediatamente sentimenti di paura e confusione. Ma ciò che appare ai miei occhi è anche una grande difficoltà a gestire la comunicazione tra loro e con i figli, rimando tutto ciò e decidiamo di iniziare una consulenza familiare. Il lavoro, nelle prime fasi, si è incentrato sulla condivisione della malattia e delle emozioni di ogni membro della famiglia, per poi concentrarsi sui ruoli di ognuno e sulle responsabilità e sensi di colpa che tutti provavano ma che non riuscivano a comunicare.