L'Esperto Risponde

Intervista al Dott. Giovanni Battista Rossi

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Dott. Giovanni Battista Rossi,

Gastroenterologo Endoscopista

Giovanni Battista Rossi, laureato a Napoli nel 1978, si avvicinò subito all’endoscopia. Nel ’93 approdò all’Istituto dei Tumori di Napoli, nel servizio di Endoscopia Diagnostica e Operativa, divenuto poi unità operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, che ha diretto nella fase finale della carriera. Dai primi anni ‘90 si è occupato delle persone con predisposizioni genetiche ai tumori dell’apparato digerente, entrando nel relativo gruppo multidisciplinare italiano, poi divenuto società scientifica, in sigla AIFEG, della quale è stato anche segretario e poi presidente.

Dottore, quali sono le forme di tumore gastrointestinale più frequenti In Italia e con quali sintomi si manifestano?

In Italia si diagnosticano circa 80.000 tumori maligni dell’apparato digerente all’anno, oltre la metà dei quali nel colon-retto. I sintomi variano a seconda della sede: dalla difficoltà a ingoiare, per l’esofago, a disturbi più subdoli per altri organi, come il pancreas o lo stomaco. Per il colon-retto i segnali possono essere sangue nelle feci, cambiamento del modo di evacuare, con stipsi o diarrea, talvolta alternate, o un’anemia inspiegata. Fortunatamente, molti casi sono scoperti grazie a controlli di prevenzione.

Qual è l’incidenza dei tumori del colon-retto, in calo o in aumento negli ultimi anni?

I dati del 2022 sono gli ultimi disponibili e segnalano 48.000 nuovi casi, con un aumento del 10% in due anni, probabile effetto della mancata prevenzione durante la pandemia da COVID 19. Dal 2013 al 2020 si era avuto un calo del 20%, riflesso delle campagne di prevenzione.

Che differenza c’è tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria?

La prevenzione primaria mira a ridurre l’esposizione ai fattori di rischio e a promuovere comportamenti “salutari”. Quella secondaria corrisponde alla diagnosi precoce; per il colon mira soprattutto a individuare e trattare lesioni non ancora maligne. La prevenzione terziaria non è propriamente prevenzione, ma solo la ricerca precoce di ricadute di malattia.

Si può mettere in atto una prevenzione primaria per il colon-retto?

È ipotizzabile, ma non agevole, perché implica un forte impegno nello stile di vita. Sappiamo che il cancro del colon-retto è più frequente nei paesi occidentali e meno dove l’alimentazione include molti vegetali e poche carni rosse. Identificare con precisione cibi utili o dannosi non è agevole, perché la dieta contiene tante sostanze, associate nel modo più vario. Parecchi studi associano l’effetto protettivo dei vegetali soprattutto ai cereali non raffinati, più che alle fibre in senso generico. In modo più debole appaiono vantaggiosi i derivati del latte, verosimilmente in relazione all’apporto di calcio. La vitamina D, che è correlata al calcio, ha anch’essa un leggero effetto protettivo. Carni rosse e conservate si associano a un aumento di rischio, e così l’eccesso di alcool, il fumo e il sovrappeso. I dati sul pesce o l’olio di oliva sono ancora incerti. Su queste basi si può immaginare una riduzione del rischio, tenendo però presente che è più importante orientare bene l’alimentazione fin da bambini che modificarla a 40 o 50 anni.

Esistono dei protocolli di prevenzione secondaria specifici?

Certamente: nel caso del colon retto abbiamo il vantaggio di poter intercettare la lesione benigna, l’adenoma, dal quale deriva la maggior parte dei tumori maligni (carcinomi). L’adenoma si presenta per lo più con l’aspetto di polipo, una formazione con un peduncolo, a mo’ di funghetto. In altri casi l’adenoma è piatto, quindi meno appariscente. Entrambe le forme possono essere cercate e asportate mediante la colonscopia. Questo esame consente l’esplorazione del colon attraverso uno strumento flessibile. La visione oggi è esaltata dall’alta risoluzione delle immagini e dall’intelligenza artificiale. Asportare gli adenomi previene la futura trasformazione in cancro, che nella maggioranza dei casi richiede diversi anni. La colonscopia è raccomandata ogni 5 anni, dall’età 45-50. Quando vi siano problemi a eseguire la colonscopia, o venga rifiutata, si può ricorrere a due esami che però non consentono prelievi o asportazione di polipi e quindi non opportuni se la presenza di una lesione è probabile. Uno è l’endoscopia con capsula, mediante l’ingestione di una telecamerina, esame che, come la colonscopia, richiede una pulizia accurata del colon. L’altro è la ricostruzione digitale dell’aspetto del colon a partire da una TAC ad alta risoluzione, la cosiddetta “colonscopia virtuale”. Nelle campagne di prevenzione è molto utilizzata la ricerca nelle feci del sangue occulto (ossia di piccole quantità non visibili). Il metodo è efficace nel ridurre la mortalità ma non è sensibile come gli altri già citati. Comincia a diffondersi la ricerca nelle feci di alterazioni genetiche proprie dei tumori.

Diversa è la strategia nelle persone con malattie infiammatorie croniche intestinali e in quelle con predisposizioni familiari ai tumori: per queste persone sono necessari percorsi specifici in ambiente specialistico.

Quanto incide la prevenzione sulla qualità di vita del paziente?

La ricerca del sangue nelle feci è assolutamente priva di fastidi. La colonscopia con lo strumento flessibile comporta alcuni disagi, ridotti dalla sedazione. Minori sono quelli dell’endoscopia capsulare e della colonscopia virtuale. I fastidi sono comunque accettabili a fronte del vantaggio di evitare gran parte dei tumori, con tutto il carico di interventi chirurgici e trattamenti aggiuntivi. Per non parlare del rischio di morte o di mutilazioni come una colostomia, ossia la necessità di raccogliere le feci in una sacca aderente alla parete addominale.

Dottore ci può raccontare un caso che ha seguito e che ha avuto un’evoluzione positiva.

Quando si ha a che fare con il colon si hanno molti successi, specie con la rimozione dei polipi, anche di grosse dimensioni, prima della degenerazione. Un caso fortunato, anche per le circostanze particolari, è quello di un mio amico poco sotto la sessantina, del tutto privo di sintomi, che volle sottoporsi a una colonscopia di prevenzione solo per l’imminenza del mio pensionamento. Mi trovai a dover rimuovere cinque polipi, due dei quali piuttosto grossi. Uno di essi presentava un limitato focolaio di trasformazione maligna, che non richiedeva ancora la resezione chirurgica. Chissà come sarebbe poi andata, se fossi stato più lontano dal pensionamento!