SOMMARIO
La sindrome fibromialgica (FMS) è caratterizzata da dolore muscoloscheletrico cronico e diffuso associato ad astenia, disturbi del sonno, problemi cognitivi, problemi psichici e a un ampio insieme di sintomi somatici e neurovegetativi. Essa può avere un rilevante impatto sulla qualità di vita dei pazienti, l’approccio terapeutico maggiormente appropriato è interdisciplinare e multiprofessionale, basato su un programma individualizzato di cura che include diverse tipologie di interventi: educativi, farmacologici e non farmacologici. Nel seguente articolo sono riportati i dati di pazienti seguiti al COF Lanzo Hospital in regime di macroattività ambulatoriale complessa (MAC) per un periodo di 1.5 mesi con due accessi settimanali. I dati ottenuti indicano che il percorso sperimentato può essere efficace, in associazione a specifico trattamento farmacologico, nel breve termine. A distanza di mesi, invece, i pazienti rientrando nella loro routine quotidiana, possono ricadere nei meccanismi della malattia.
INTRODUZIONE
La fibromialgia o sindrome fibromialgica (FMS) è una condizione clinica conosciuta da tempo ma che solo recentemente ha ricevuto una definizione scientifica e un riconoscimento formale. Essa è caratterizzata da dolore muscoloscheletrico cronico e diffuso associato ad astenia, disturbi del sonno, problemi cognitivi (es. deficit di attenzione e di memoria), problemi psichici (es. ansia, depressione) e a un ampio insieme di sintomi somatici e neurovegetativi.
L’eziologia della sindrome non è ancora stata pienamente compresa ed esiste incertezza rispetto al quadro fisiopatologico (1). L’ipotesi eziopatogenetica preminente riguarda il meccanismo della centralizzazione del dolore. La deregolazione nei meccanismi di controllo del dolore da parte del Sistema Nervoso Centrale è apparsa responsabile dell’amplificazione dello stesso, oltre che degli altri sintomi della malattia (disturbi di memoria, affaticamento e depressione). La riduzione della capacità di modulazione del dolore attraverso le vie discendenti è presente in molti pazienti affetti da fibromialgia: in particolare sembra compromessa l’attività serotoninergica-noradrenergica, elemento sostenuto dai benefici terapeutici apportati dai farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI). Inoltre è stato dimostrato che i pazienti fibromialgici presentino ridotta capacità di legame dei recettori oppioidi in diverse regioni note per giocare un importante ruolo di modulazione del dolore (2). L’attivazione delle cellule gliali partecipa alla mediazione del dolore, incluso il dolore neuropatico. Questa attivazione (3) è sostenuta da citochine proinfiammatorie (TNF, IL-6, IL-8) e da oppioidi che non legando i loro specifici recettori, determinano l’attivazione di TLR-4 scoperto come elemento concorrente al dolore cronico (4). I livelli di glutammato risultano aumentati nel liquido cerebrospinale e alla risonanza magnetica spettroscopica cerebrale dei pazienti con fibromialgia, mentre i livelli di acido gamma aminobutirrico (GABA) si mostrano diminuiti (5, 6): ciò trova riscontro nei benefici clinici osservati con la somministrazione di pregabalin e memantina che agiscono sul sistema glutamatergico. L’azione della corteccia anteriore del cingolo sulla modulazione del dolore non è ancora del tutto chiarita ma si suppone che il rilascio di neurotrasmettitori inibitori tipo il GABA riduca l’eccitabilità dei neuroni di questa regione che sono responsabili della modulazione discendente del dolore, agendo sui neuroni del midollo rostrale ventromediale (7). E’ inoltre coinvolto il meccanismo della sommazione temporale del dolore (o “windup”) sostenuto dalla ripetitiva stimolazione delle fibre nocicettive (8, 9). Studi che hanno impiegato sia la Tomoscintigrafia cerebrale perfusionale (SPECT) sia la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno, infine, evidenziato anormalità perfusionali rispetto ai controlli, con un’attività elevata nella corteccia somatosensoriale e ridotta nella corteccia frontale, nel cingolo, nella corteccia temporale e cerebellare (10, 11,12). Le ipotesi finora descritte supportano il principio per il quale vi sarebbe un’alterazione dei pathways del dolore nel SNC mentre secondo altri studi la fibromialgia sarebbe sostenuta da un’infiammazione delle piccole fibre periferiche (13); tuttavia questa idea non spiega le ragioni per cui la fibromialgia si manifesti più frequentemente nei pazienti che hanno subito traumi cranici (14).
OBIETTIVI
Il Ministero della Salute con Decreto 8 luglio 2022 ha stabilito un riparto del contributo di 5 milioni di euro, ex art 1, comma 972, della legge 30 dicembre 2021, n 234, finalizzato allo studio, alla diagnosi e alla cura della fibromialgia (15). Nonostante un decreto successivo lo abbia ripartito tra tutte le Regioni, nessuna di esse ha di fatto ricevuto la propria quota. Secondo la legge, comunque, le Regioni sono tenute, dallo scorso dicembre 2022, ad individuare sul proprio territorio uno o più centri specializzati per la gestione delle persone con fibromialgia e in grado di assicurare ai pazienti una presa in carico multidisciplinare. Il COF Lanzo Hospital, sito in Alta Valle Intelvi in provincia di Como, è stato individuato come centro di II Livello (16) per la diagnosi e cura della Fibromialgia avvalendosi di un gruppo di lavoro interdisciplinare e multiprofessionale in grado di seguire il paziente con fibromialgia dalla diagnosi alla terapia con approccio terapeutico personalizzato e in continuo divenire in base alle necessità del singolo paziente.
Partendo dalla nostra casistica ci siamo posti i seguenti obiettivi:
- capire se alla base di una sindrome complessa quale la FMS vi fosse un elemento comune estrapolabile dalla storia clinica
- valutare eventuali miglioramenti, rispetto all’ingresso, alla fine del percorso e dopo tre mesi tramite la scala FAS (Fibromyalgia Assessment Status).
- eventuale utilità di prolungare il trattamento in numeri di accessi per singoli cicli
MATERIALI E METODI
Da settembre 2023 al COF Lanzo Hospital presso l’UO di Riabilitazione è attivo un percorso dedicato ai pazienti con sindrome fibromialgica precedentemente individuati nel corso di visite specialistiche ambulatoriali neurologiche, fisiatriche e reumatologiche.
Per la formulazione della diagnosi di fibromialgia, dopo aver escluso processi infiammatori in atto tramite valutazione di emocromo, VES e PCR, sono state usate tre scale (1,17,18):
- La WPI (Widespread Pain Index) in grado di valutare il dolore diffuso in specifiche aree e regioni del corpo (vr 0-12)
- la SSS (Symptom Severity Scale), per quantificare la presenza di sintomi caratteristici (astenia, sonno non ristoratore, problemi cognitivi, emicrania, dolore / crampi addominali, depressione) che compromettono la vita quotidiana con durata della sintomatologia pari ad almeno 3 mesi (vr 0-19)
- la FAS (Fibromyalgia Assessment Status) per quantificare l’entità del problema dove più è alto il punteggio più è grave l’entità della sindrome (vr 0-30)
Al paziente è stata fatta diagnosi di fibromialgia nei seguenti casi:
Indice per il dolore diffuso (WPI) ≥ 7 e punteggio della scala per la severità dei sintomi (SSS) ≥5 OPPURE WPI 3-6 e punteggio della scala per la SSS ≥ 9
Con sintomi presenti con la stessa intensità da almeno 3 mesi
Il percorso dedicato prevede una serie di 14 accessi in regime Macroattività Ambulatoriali Complesse (MAC) a frequenza bisettimanale.
All’accettazione il medico specialista di riferimento compila la cartella clinica che prevede raccolta dell’anamnesi, esame obiettivo, applicazione della FAS (Fibromyalgia Assessment Status); procede al colloquio di “educazione” dove il paziente viene edotto sull’importanza di aderire ad un percorso che preveda un adeguato regime alimentare e adeguata attività fisica con concomitante trattamento cognitivo-comportamentale.
Durante gli accessi il paziente è seguito dal fisioterapista con sedute di rinforzo muscolare e di recupero articolare, esegue sedute di terapia fisica combinata a scopo antalgico, è sottoposto a consulenza neurologica/psicoanalitica, esegue sedute di rilassamento e viene valutato dallo psicologo.
Sulla base di dati reperiti in letteratura per tutti i pazienti è stato concordato un trattamento farmacologico standard a base di:
Duloxetina alla dose di 60 mg/die e Pregabalin a posologia variabile da 25 mg in monosomministrazione serale a 150 mg/die frazionata in due somministrazioni.
Concluso il MAC il paziente viene rivalutato tramite la FAS.
Allo stato attuale sono stati raccolti, in forma anonima, dati relativi a 16 pazienti. In un database di excell, a cui ha accesso esclusivamente il medico dedicato alla gestione dei pazienti durante il percorso riabilitativo, sono riportati: le iniziali dei pazienti, il sesso, la provenienza, i punteggi relativi a WPI, SSS e FAS all’ingresso e solo i punteggi ottenuti al FAS alla dimissione e dopo 3 e sei mesi.
RISULTATI
Dei 16 pazienti esaminati 15 sono donne. Età media: 54 ±15 anni;
FAS all’ingresso 19,7±5,13
FAS alla dimissione 14,3±2.2
L’utilizzo del t-test ci ha consentito di evidenziare un miglioramento FAS alla dimissione statisticamente significativo con p-value 0,000277
Nel follow up a tre mesi, invece, abbiamo osservato valori FAS più elevati rispetto a quelli registrati alla dimissione: 16,5±3,5 con differenza statisticamente non significativa tra i punteggi FAS a tre mesi sia rispetto ai valori dell’ingresso p-value 0,02525 sia rispetto ai valori della dimissione p-value 0,020937. Questo nonostante la regolare assunzione della terapia farmacologica.
Per tutti i pazienti esaminati in anamnesi sono emersi almeno quattro dati comuni:
- stato conflittuale tra attese del “se” in età scolare o durante l’adolescenza e richieste provenienti dall’ambiente più prossimo, in genere quello familiare con tendenza a sopprimere le proprie esigenze per assecondare quelle altrui.
- atteggiamento di chiusura sulle difficoltà spesso affrontate con proprie risorse a disposizione.
- insorgenza di malessere fisico nella fase post adolescenziale plurindagato con accertamenti clinici tutti negativi, cronicizzazione della sintomatologia algica pluridistrettuale e tendenza negli anni ad abuso di antidolorifici.
- progressiva insorgenza di ansia e depressione.
CONCLUSIONI
In conclusione possiamo confermare che la FMS sia una condizione clinica caratterizzata da dolore muscoloscheletrico cronico e diffuso associato ad astenia, disturbi del sonno, problemi cognitivi (es. deficit di attenzione e di memoria), problemi psichici (es. ansia, depressione) e a un ampio insieme di sintomi somatici e neurovegetativi che possono trarre beneficio dall’uso di Duloxetina e Pregabalin in associazione al percorso non farmacologico proposto al COF Lanzo Hospital. La riattivazione dei sintomi fibromialgici a distanza di mesi dall’interruzione del trattamento fisiatrico, nonostante la regolare assunzione della terapia farmacologica, indica l’importanza dell’approccio multidisciplinare sul paziente che, nel periodo di trattamento, si sente accudito e ascoltato ma anche più attivo sul piano motorio con buona compliance verso esercizi muscolari isometrici in grado di rendere più flessibile la muscolatura. Dai colloqui interpersonali è stata attribuita soggettiva buona efficacia anche alle terapie fisiche somministrate.
Dopo questa sintesi viene naturale chiedersi cosa determini questo stato di cose e, considerando la complessità sindromica che chiama in causa il substrato psicorganico di un individuo, una risposta potrebbe derivare dalla psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) che studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici (19,20) quali sistema nervoso, endocrino e immunitario. Si tratta di una disciplina nata a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, grazie a una serie di esperimenti pioneristici che hanno dimostrato la fitta rete di comunicazione tra i tre sistemi. La PNEI fa proprio un paradigma sistemico che integra la dimensione microscopica (network immunitari, endocrini, nervosi) con quella macroscopica (interazione individuo-contesto sociale) e costituisce un approccio multidisciplinare che permette di studiare l’uomo nella sua unità, interezza e complessità̀, superando qualsiasi forma di riduzionismo che deriva dall’eccessiva specializzazione del sapere criticata dallo psichiatra George Engel che non aveva obiezioni per lo studio sempre più preciso dell’organizzazione molecolare e particellare della vita, motore della ricerca scientifica, bensì alla pretesa di ridurre a determinanti semplici la spiegazione di fenomeni complessi come salute e malattia. Nella prima metà degli anni Settanta, lo psicologo sperimentale Robert Ader e l’immunologo Nicholas Cohen dimostrarono che il cervello è in grado di influenzare il sistema immunitario. Ricerche successive hanno individuato gli specifici pathways attraverso cui sistema immunitario e nervoso comunicano: studi decennali di David Felten hanno dimostrato l’estesa innervazione degli organi linfoidi primari (timo, midollo osseo), secondari (linfonodi, milza) e delle cellule immunitarie da parte delle fibre del sistema nervoso vegetativo rilascianti catecolamine, acetilcolina e neuropeptidi. Fibre nervose e cellule immunitarie formano vere e proprie sinapsi, chiamate “giunzioni neuroimmunitarie”. Successivamente è stato scoperto come il nervo vago giochi un ruolo immunomodulatorio responsabile del cosiddetto “riflesso infiammatorio”, possedendo una componente immunosensitiva che rivela livelli di citochine proinfiammatorie e una componente immunosoppressiva rappresentata dalla branca efferente che utilizza l’acetilcolina come principale neurotrasmettitore in grado di inibire la sintesi di citochine pro-infiammatorie (IL-1β, IL-6, IL-8, TNF) ma non di quella di citochine anti-infiammatorie come IL-10 (21).
La sindrome fibromialgica, dunque, diventa effetto di traumi somatici o condizioni persistenti di stress che tramite giunzioni neuroimmunitarie attivano il riflesso infiammatorio del nervo vago con persistente stato di sofferenza psicosomatica. Dalle conclusioni dell’articolo sono auspicabili sia il sostegno delle UO di Medicina Riabilitativa per trattare tramite percorsi organizzati le persone affette da fibromialgia con un incremento nel numero di accessi per ogni singolo ciclo in modo da auspicare un effetto più duraturo del trattamento nel lungo termine sia l’approfondimento di questo problema complesso che riguarda due milioni di persone solo in Italia con ulteriori studi partendo dalla PNEI.
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